Il declassamento del nostro debito da parte di Standard & Poor’s sembra aver avuto effetti tutto sommato contenuti. In parte perché i limiti dell’azione del governo italiano erano noti da tempo, in parte perché l’attenzione degli investitori sembra puntata principalmente sulla Grecia e sulle decisioni a livello europeo. Il governo di Atene è alle prese con un gravoso impegno di riduzione del debito impostogli come condizione per gli aiuti. Il giudizio prevalente tra gli osservatori è che lo sforzo richiesto sia al di là delle possibilità dell’economia greca, e non ci sia pertanto alternativa a un default parziale; la questione riguarda semmai il quando e il come. C’è chi considera o auspica apertamente la possibilità di un’uscita della Grecia dall’euro. Un esito del genere deve essere scongiurato: esso renderebbe chiaro che esiste un limite all’impegno a difendere la permanenza di un Paese nell’eurozona; i mercati ci metterebbero poco ad applicare questo concetto su altri Paesi, tra cui il nostro. L’ingresso nell’euro fu inteso come qualcosa di irreversibile, tanto è vero che i trattati non prevedono che un Paese possa uscire dalla moneta unica.

Ma, più che i trattati, sono gli enormi costi economici a rendere impraticabile questa strada. Anche senza considerare il fatto che l’uscita dall’euro condannerebbe il Paese interessato a un lungo periodo di marginalità, dovrebbe bastare la circostanza che, nell’intervallo necessario a prendere la decisione di abbandonare l’euro – si tratti di mesi, settimane o anche solo giorni – l’aspettativa di ritrovarsi con una valuta locale deprezzata determinerebbe il prosciugamento della liquidità, mandando all’aria il sistema del credito su cui si regge qualsiasi economia avanzata. C’è forse anche da noi chi accarezza l’idea di un ritorno dell’Italia alla situazione pre-euro. Una tentazione che poggia sull’osservazione (ahimé corretta) che la moneta unica non ha impedito l’emergere di squilibri: ha anzi reso ciascun Paese più indifeso rispetto a crisi di fiducia come quella che sta affliggendo Italia e Spagna. È vero che avremmo ben altri armi a disposizione se disponessimo ora di quella sovranità monetaria cui abbiamo rinunciato; e la possibilità di svalutare ci consentirebbe di superare in parte quegli squilibri esterni che sono, più dei conti pubblici, motivo di rischio. Qui sta il paradosso dell’Europa: la crisi ne sta mettendo a nudo le debolezze, e sta creando, sia nei Paesi più forti che in quelli più esposti, la percezione che l’euro sia una gabbia più che la soluzione. Come dicevamo, è una tentazione che va respinta con forza. Il rafforzamento della cooperazione europea è dunque una strada obbligata. I problemi dell’Europa potrebbero essere superati in presenza della volontà politica di farlo, abbandonando la miope prospettiva nazionale che sta bloccando ogni iniziativa.

Occorre riconoscere che a fronte della generale sottovalutazione dei rischi derivanti da una costruzione istituzionale carente, i costi di aggiustamento non possono essere considerati un problema dei singoli stati. Deve essere abbandonata la puerile e fuorviante contrapposizione tra Paesi virtuosi e meno virtuosi. Riconosciamo pure le nostre mancanze a fronte dei meriti d’oltralpe, ma non dimentichiamo che della creazione di squilibri commerciali hanno goduto sia i Paesi che consumavano a credito che quelli che accumulavano avanzi; perché ottenere un vantaggio competitivo, oltre che aumentando virtuosamente produttività e generando innovazione, con il contenimento dei salari e dei consumi interni, non è molto diverso nella sostanza dall’effettuare una svalutazione competitiva. Occorre, infine e soprattutto, allentare l’attuale programma generalizzato di austerità e tagli di bilancio, che rischia di innescare una spirale recessiva. Quale sia in questo quadro la parte dell’Italia è noto e qui l’abbiamo detto dall’inizio, anche quando altri sembravano vedere solo il problema dei conti pubblici: l’accento deve essere sulle riforme per la crescita. Che questo passi per una sostituzione del governo attuale con uno più credibile e autorevole è ormai riconosciuto da tutti, qui e all’estero. Non c’è certo da illudersi: l’uscita di scena di Berlusconi non è una condizione sufficiente per risolvere i nostri problemi. Ma necessaria certamente lo è.