Guardando all’iniziativa di Parigi non può sfuggire innanzitutto il quadro di insieme, per così dire la foto di gruppo: il tentativo di realizzare quell’azione coordinata dei partiti progressisti europei che è la sola possibilità di segnare un cambio di direzione rispetto alla strada senza uscita imboccata negli ultimi anni.

Per le sue conseguenze sul piano sociale e democratico, la ricetta dei conservatori europei sta creando tutte le condizioni per un ripiegamento nazionalistico e, se perseguita ulteriormente, porterebbe allo sfaldamento dell’euro prima e di ogni progetto di integrazione poi. Rispetto alle difficoltà del nostro paese sarebbe certo ingenuo pensare all’Europa come al classico deus ex machina, ma lo sarebbe altrettanto scambiare l’attuale fase per la fine della fase acuta della crisi. L’abbiamo detto più volte: il recupero della credibilità nella conduzione della politica nazionale, e quindi il ripristino di condizioni di reciproca fiducia tra paesi, è un passo necessario, ma in nessun modo sufficiente. Né il nostro paese né gli altri paesi colpiti più duramente dalla crisi reggerebbe sul piano sociale la prospettiva di cinque o dieci anni di stagnazione cui ci sta condannando la linea dell’austerità. La finestra temporale concessaci dalla politica monetaria espansiva della Bce sotto la guida del presidente Draghi non durerà a lungo, e non ci si può illudere che la crescita riparta per effetto delle sole liberalizzazioni o magari di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, come qualcuno si ostina a suggerire.

Per superare le difficoltà del nostro paese, che vengono da lontano, servono interventi strutturali, ma questi richiedono risorse. Penso agli ammortizzatori sociali, a investimenti infrastrutturali, alla crescita del capitale umano, alla ricerca, al ripristino della funzionalità della macchina pubblica, per garantire legalità e servizi pubblici; penso infine ad un piano per l’occupazione giovanile e femminile. È per questo che è vitale l’avvio urgente di una fase espansiva, mediante politiche di riattivazione della domanda che in questo momento le condizioni debitorie non consentono ai singoli stati ma che sono ancora possibili a livello europeo.

Nel documento di Parigi gli ingredienti per un programma alternativo rispetto all’attuale linea dell’Europa conservatrice ci sono tutti. Innanzitutto la denuncia dei rischi della ricetta deflazionistica che punta a colmare i divari di competitività tra le economie puntando su una riduzione dei salari nei paesi in difficoltà, e quindi scarica ancora una volta sul lavoro le tensioni macroeconomiche. A questo proposito, è di estrema importanza il riconoscimento che “il miglioramento della competitività dei paesi in deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi complementari nei paesi in surplus attraverso un ruolo di stimolo alla domanda interna”, nonché attraverso politiche di riduzione della diseguaglianza. L’attenzione alle compatibilità di bilancio e alla disciplina di bilancio non è elusa, la necessità di puntare ad una riduzione dell’entità del debito sovrano è anzi affermata con chiarezza. Tale attenzione è tuttavia coniugata con l’esigenza di rilanciare il modello sociale europeo con i suoi ideali di solidarietà uguaglianza e sostegno all’occupazione; ciò in chiara antitesi con la tesi del pensiero conservatore, che considera tale modello esaurito e lo addita come responsabile dell’attuale difficoltà del continente. Il risanamento dei conti pubblici deve essere ottenuto con responsabilità, secondo principi di giustizia sociale e nel rispetto delle regole democratiche. Non è difficile cogliere qui un chiaro riferimento critico alla gestione della crisi greca, anche nella richiesta di mettere al centro dell’azione europea la solidarietà e il “rafforzamento della responsabilità comune” nella gestione dei debiti, mediante il ricorso agli eurobond.

E ancora: l’importanza di una politica industriale, che tra le altre cose sviluppi tecnologie per la sostenibilità ambientale; di reperire risorse (tramite la tassazione delle transazioni finanziarie, il coordinamento nella lotta all’evasione e l’emissione di project bond) per finanziare progetti europei di investimento; di progetti di sostegno dell’occupazione. Infine: l’affermazione del metodo comunitario e del rafforzamento delle istituzioni rappresentative, al fine di costruire una democrazia su scala europea che segni la fine della prevalenza del metodo intergovernativo praticato dai governi di destra. In poche pagine, una direzione indicata in modo tutt’altro che generico o inadeguato alla sfida del momento. Un progetto che, senza chiedere ai partiti che lo sostengono di rinunciare alla propria specificità culturale, alle proprie storie, ai tratti caratterizzanti la propria esperienza nazionale, individuando chiaramente quale propri riferimenti l’Europa, la giustizia sociale, il lavoro, la democrazia, si presta a definire l’identità di una forza progressista europea.