Il senso del cambiamento in atto negli orientamenti di politica economica è ben reso dall’isolamento della posizione tedesca nell’ambito della riunione del G8, in corso a Camp David. Stando a quanto viene riportato, sul tema delle politiche di austerità Angela Merkel subisce un vero e proprio accerchiamento: da una parte l’asse emergente tra i due presidenti Françoise Hollande e Barack Obama, dall’altra David Cameron e lo stesso Mario Monti. Ciascuno con le proprie ragioni e il proprio domestico cruccio, ma tutto sommato uniti nel chiedere che le politiche di rigore siano temperate da azioni più incisive per la crescita e l’occupazione. Certo, da parte tedesca non sarebbe difficile rispondere che quelle politiche, ora oggetto di critica, sono state a lungo condivise anche dagli altri paesi. Sono gli stessi giornali britannici a mettere in luce come il Cameron che dà lezioni ai partner europei su come risolvere i problemi della moneta unica è lo stesso che ha accentuato l’isolamento del suo paese e che tuttora rifiuta ogni dialogo sull’ipotesi di un’imposta sulle transazioni finanziarie. Per parte nostra, ci piacerebbe vedere l’Italia più nettamente allineata sulle posizioni franco-americane, ma è anche vero che la nostra condizione di vulnerabilità ci impone un profilo più defilato. Per oggi accontentiamoci dunque di questo barlume di realismo, che alimenta un minimo di ottimismo e speranza.

Vale la pena semmai di attrezzarci per declinare correttamente questa nuova attenzione alla crescita. Il rischio è altrimenti quello di cambiare il titolo (da “austerità” a “crescita”) lasciando però invariato il contenuto. Intendiamoci: nessuno ha la ricetta sicura per la crescita. Quali siano le condizioni che garantiscono la ricchezza delle nazioni è il problema economico per eccellenza, con il quale economisti di ogni orientamento si cimentano da secoli. I fautori dell’austerità e delle riforme strutturali partono dall’idea che la crescita passi per un minore coinvolgimento dello Stato nell’economia, per mercati più flessibili che consentano una deflazione di prezzi e salari e per l’abbandono di un sistema di protezione sociale che vedono costoso e fiaccante l’iniziativa individuale.

Fortunatamente, il consenso che faticosamente si sta facendo strada sembra prendere una direzione diversa. Si mette finalmente al centro la questione degli investimenti e dell’occupazione, e viene chiesto un approccio meno aggressivo alla questione dei deficit pubblici: ormai dovrebbe essere chiaro che politiche di rientro dal deficit troppo rapide risultano inconcludenti nel momento in cui precipitano le economie in una spirale recessiva. Va chiarito che una politica di investimenti realmente efficace non dovrebbe risolversi in una riproposizione di stimoli “tradizionali” alla domanda, magari attraverso un rilancio delle grandi opere pubbliche, ma dovrebbe semmai coordinarsi con un programma di modernizzazione della nostra struttura produttiva. C’è l’urgenza che chi governa, e ancor più chi aspira a governare, abbia una chiara visione della collocazione del paese nella divisione internazionale della produzione e orienti di conseguenza le (comunque poche) risorse disponibili. Insomma, occorre dotarsi di una politica industriale e un piano di ristrutturazione della pubblica amministrazione, senza trascurare formazione e ricerca. A queste condizioni, l’adozione di un’eccezione per gli investimenti nell’attuazione del fiscal compact (la “golden rule”) e un aumento degli strumenti di investimento comunitari potrebbe fare la differenza.

Due parole infine su un secondo tema europeo che tiene banco al vertice del G8: il destino della Grecia. È importante che si sia affermato chiaramente che l’Unione deve fare tutto quanto necessario a mantenere la Grecia nell’euro, smentendo le irresponsabili affermazioni di quanti, nei giorni scorsi, hanno ipotizzato il contrario. Dovrebbe infatti essere chiaro che, se anche l’euro sopravvivesse nell’immediato al contraccolpo dell’uscita di uno dei suoi membri, esso perderebbe, nella percezione degli investitori, il suo carattere essenziale di patto irreversibile. Non ci vuole molta fantasia a capire che in questo modo verrebbe incoraggiato chi scommette contro la sua tenuta. L’unione monetaria diventerebbe allora poco più di un sistema di cambi fissi, destinato a non sopravvivere al primo serio attacco.