Anche se non è la prima volta che un vertice europeo viene caricato di grandi attese e indicato come l’ultima occasione utile per trovare una via d’uscita alla crisi, il senso di essere all’ultima spiaggia non è mai stato maggiore. Eppure, vista la difficoltà di comporre le divergenze, e a giudicare dalle anticipazioni, c’è il rischio che anche il vertice di domani si risolva in un compromesso al ribasso, con un sostanziale rinvio di ogni decisione sui temi più controversi, quelli potenzialmente risolutivi. E in assenza di passi concreti, di impegni percepiti come irreversibili, al di là di ogni rassicurazione verbale sulla volontà di salvare la valuta comune, un ulteriore aggravamento della crisi di fiducia sarebbe inevitabile.

Su cosa debba essere fatto c’è a questo punto sostanziale convergenza di vedute tra gli addetti ai lavori: una rinegoziazione del programma di austerità della Grecia, per disinnescare il rischio di un’uscita forzata di questo Paese dall’euro, con le conseguenze che sappiamo; un programma di ricapitalizzazione delle banche spagnole che non si risolva in un aumento del debito pubblico di quel Paese, e più in generale i primi passi per la creazione di un’unione bancaria che includa un’assicurazione europea sui depositi; un intervento per ridurre il peso del rifinanziamento dei debiti pubblici dei Paesi più esposti, tramite l’introduzione di qualche forma di mutualizzazione del debito; un allentamento delle politiche di austerità che crei uno spazio per la realizzazione di investimenti e rilancio della domanda; infine, una politica monetaria che, tollerando livelli più elevati di inflazione nei paesi del Nord Europa, favorisca il riassorbimento degli squilibri macroeconomici e di competitività. Non sarà dunque difficile capire fin da subito se il vertice sarà stato un successo o un fallimento, in base al fatto che almeno su qualcuno di questi interventi si sia compiuto qualche passo avanti.

Se una certa opposizione tedesca alla prospettiva di trovarsi a dover pagare il conto per l’intera Europa ci appare anche ragionevole, il veto a qualsiasi ipotesi risolutiva sta trasformando la Germania nel maggiore ostacolo alla sopravvivenza dell’euro. Tanto che qualche autorevole commentatore ha già sottolineato come, rispetto all’immobilismo attuale, sarebbe addirittura preferibile, per la sopravvivenza dell’euro, una unione monetaria senza la Germania.

La posizione ufficiale tedesca sottolinea la necessità che ogni ipotesi di mutualizzazione dei debiti (necessaria a mettere al sicuro Spagna e Italia ma anche di riflesso la Francia) richieda preventivamente un’unione politica, cioè un controllo comunitario sulle decisioni dei singoli Stati in materia di bilancio pubblico. Una richiesta in astratto ragionevole, ma che, visti i tempi necessari per la realizzazione di un’unione politica, troppo lunghi rispetto all’emergenza della crisi, giustifica qualche sospetto che si tratti di tattica dilatoria. A tale posizione si contrappone peraltro la Francia che, ostile ad ogni cessione di sovranità sulla propria politica fiscale, non ritiene l’unione politica realizzabile senza preventive misure di solidarietà tra Stati. Prudenza di fronte al rischio di abdicare a favore di strutture comunitarie ancora troppo poco soggette a controllo democratico? Timore forse che un tale passaggio trasformi l’egemonia economica tedesca in egemonia anche politica? Entro questa impasse, il ruolo dell’Italia può essere realmente importante, sia per ammorbidire le resistenze francesi che per porre la Germania di fronte alle proprie responsabilità, e la decisione e risolutezza del presidente Monti in queste ore sono senz’altro un elemento positivo.

Suscita semmai preoccupazione il fatto che l’aggravarsi della crisi abbia aumentato le spinte centrifughe a scapito della dimensione più autenticamente comunitaria; le divergenze sembrano ancora una volta dettate prevalentemente dalle diverse situazioni nazionali, con un Nord Europa chiuso sulla difensiva rispetto ad un Sud che chiede azioni più decise. Eppure, mai come ora ci sarebbe necessità di assumere un punto di vista comunitario. Mai come ora avremmo bisogno in particolare di un atto di coraggio delle élite progressiste del Continente, che facessero sentire la loro voce mettendo in campo un progetto diverso, europeista e solidale, sfidando se il caso i timori delle rispettive opinioni pubbliche nazionali.