Ciò che più colpisce nei commenti del giorno dopo sul vertice europeo è il significativo divario tra il giudizio estremamente positivo formulato sul piano politico e quello, che potremmo eufemisticamente definire cauto, degli addetti ai lavori, o almeno di quelli che si sono cimentati nel decifrare gli aspetti più tecnici dell’accordo. Sembra il classico bicchiere che si vuole mezzo pieno o mezzo vuoto. Non stupisce certo che sul piano politico si voglia enfatizzare il successo, il segnale che qualcosa si sta muovendo, al di là di quanto c’è ancora di ambiguo e indefinito nei dispositivi dei documenti ufficiali. L’ottimismo della volontà (politica) che sfida il pessimismo della ragione (tecnica) che ancora stenta a vedere una soluzione convincente. E poi si sa che il tecnico, con gli occhi puntati alla soluzione ottimale, tende a sottovalutare il difficile processo negoziale per raggiungerla. Tanto più che questi vertici si devono fermare necessariamente alle grandi linee, lasciando i dettagli ad una successiva specificazione.

Già, ma l’euro e l’Italia sono salvi oppure no? La soluzione è all’altezza della sfida? I mercati si convinceranno? Siamo di fronte all’ennesima foto di gruppo con annuncio che dura lo spazio di una mattinata sulle borse mondiali, oppure c’è, almeno in embrione, quel segnale finalmente convincente, quell’inversione di rotta a lungo invocata? Difficile rispondere, visto che la soluzione alla crisi dipende sia dalla capacità di dare un chiaro segnale politico che mostri determinazione ad affrontare i limiti dell’attuale costruzione europea, che dall’approntamento di adeguate risposte tecniche, nelle quali alla fine contano più i dettagli che i titoli. Si fa presto a dire che l’Europa interverrà se non si specificano aspetti quali la condizionalità che accompagna gli interventi, le modalità di attivazione, l’ammontare di risorse impegnate.

Prendiamo la questione della cosiddetta seniority del credito concesso ai paesi in crisi, se cioè i crediti verso gli organismi e fondi europei debbano avere o no precedenza nel rimborso. Una concessione di credito che sia senior rispetto al resto del debito dà immediato respiro al paese in crisi che vi ricorre, ma al tempo stesso riduce le garanzie disponibili per gli altri creditori, che chiederanno un maggiore premio per il rischio, vanificando così ogni effetto benefico. O prendiamo l’intervento di metà giugno in soccorso delle banche spagnole, dove il «dettaglio» problematico era stata la scelta di fornire sì liquidità, ma di farlo tramite un prestito al governo spagnolo, perpetuando il circolo vizioso tra debito pubblico e passività bancarie. Non stupisce che la soluzione non avesse convinto i mercati. Da questo punto di vista, è stato determinante correggere il tiro prevedendo un intervento diretto del fondo salva stati sulle banche. Questa decisione, insieme alla scelta di aumentare le prerogative della Bce in fatto di regolazione bancaria, è il vero risultato positivo, un primo passo in direzione di un’unione bancaria.

Molto meno chiaro in cosa consista, sul piano pratico, la novità sul versante del sostegno agli spread, il punto che più interessa direttamente il nostro paese. Nei documenti ufficiali si legge infatti che l’eventuale acquisto di titoli di stato avverrebbe nel quadro di regole e con le modalità già previste («conformemente agli orientamenti esistenti, i quali descrivono dettagliatamente le procedure pertinenti»). E se l’acquisto di titoli con le risorse del fondo salva stati sembrerebbe sottoposto a condizioni meno restrittive, resta il problema cruciale delle risorse disponibili. Come è noto, la difesa del corso dei titoli sul mercato è efficace se risulta credibile. Il fatto stesso di utilizzare un fondo con risorse relativamente ampie ma di ammontare limitato è un modo per dire che l’impegno c’è, ma fino ad un certo punto. È il difetto di analoghe soluzioni adottate nel passato recente. Ben altra cosa sarebbe stata concedere al fondo salva stati la possibilità di operare come una banca, e quindi aumentare sul mercato la propria dotazione di risorse e (soprattutto) all’occorrenza indebitarsi presso la Banca centrale europea. A meno di qualche accordo non scritto in questo senso, non c’è traccia di questo, e temiamo che i mercati possano accorgersene molto rapidamente.

Per ora dunque ben venga l’annuncio, e ben venga l’intervento sulle banche spagnole (qualcuno ha detto che nel vertice «ha vinto chiaramente la Spagna», ma a differenza della finale di stasera nel caso dell’economia una vittoria della Spagna è anche una nostra vittoria). Sarebbe tuttavia un errore pensare che sul versante della crisi dei debiti sovrani il risultato è stato raggiunto. Si è aperto uno spiraglio sul piano politico.