Che la banca centrale fosse l’unica istituzione in grado di modificare le aspettative degli investitori è sempre stato chiaro, e che al momento opportuno essa sarebbe intervenuta per evitare il peggio era la previsione di molti. La possibilità di agire virtualmente senza limiti a sostegno dei debiti sovrani è ciò che ha reso credibile, e quindi efficace anche senza impegno effettivo di risorse, l’annuncio di Mario Draghi di voler fare «tutto il necessario» per difendere l’euro. Il presidente della Bce è stato molto abile nel ricondurre tale intervento ai compiti istituzionali della banca, ma a convincere è stato senza dubbio anche l’appoggio esplicito ricevuto dal governo tedesco. Su questo fronte i giochi sono ancora aperti: Angela Merkel, per una volta più attenta all’Europa che agli equilibri politici interni, dovrà vedersela con i maldipancia degli alleati liberali e non solo. Se è troppo presto allora per cantare vittoria, è però probabile, a meno di clamorosi dietrofront, un agosto meno turbolento di quanto si potesse temere.

L’errore più grave sarebbe tuttavia adagiarsi nell’illusione che l’emergenza sia superata o che il cambio di gioco della Bce sia sufficiente a rendere efficaci le politiche adottate fino a questo momento. Se rompere la spirale perversa tra aspettative e costo dell’indebitamento per Spagna e Italia era certamente la cosa più urgente, il superamento della crisi richiede altre misure, su cui c’è ormai ampio consenso tra gli economisti, ma ancora scarso accordo politico. Un quadro convincente del minimo insieme di misure necessarie è stato recentemente offerto da un gruppo di autorevoli studiosi riuniti sotto gli auspici dell’Institute for New Economic Thinking (Inet). Rispetto all’emergenza tale insieme include, oltre all’azione diretta della Bce sui mercati dei titoli: l’adozione di una politica monetaria più espansiva, che consenta un riallineamento dei costi tra periferia e centro senza passare per una deflazione di prezzi e salari; forme temporanee di garanzia dei debiti, attraverso meccanismi quali il fondo di redenzione del debito; la sperimentazione di forme di ristrutturazione del debito su base volontaria. Nel medio periodo dovranno essere intraprese le azioni necessarie per superare i limiti dell’architettura attuale della moneta unica: la creazione di un’unione bancaria con meccanismi di assicurazione dei depositi a livello europeo; una riforma complessiva del sistema finanziario; la creazione di attività finanziarie «senza rischio» che evitino che i rischi di insolvenza degli Stati determinino movimenti finanziari destabilizzanti tra Paesi; una revisione del Fiscal compact che consenta l’attuazione di politiche fiscali anticicliche; l’attribuzione al Fondo salva-Stati di una licenza bancaria per liberare la Bce dal ruolo di prestatore di ultima istanza. Sono proposte che, riducendo al minimo il rischio di trasferimenti tra Paesi, hanno il pregio di essere insieme economicamente efficaci e politicamente praticabili.

La distinzione tra le azioni necessarie per superare l’emergenza e il disegno della nuova architettura della moneta unica è un aspetto importante. Serve in primo luogo per rassicurare i Paesi «forti», che temono l’istituzionalizzazione di soluzioni che portino ad un trasferimento indefinito di risorse verso le aree più deboli. Ma il vantaggio di affrontare l’emergenza con strumenti dichiaratamente ad hoc e temporanei è ovvio anche per Paesi «deboli», nei quali il rinvio di azioni risolutive rischia di determinare una compressione degli spazi di democrazia. Il nostro Paese soffre di problemi strutturali che preesistono alla crisi dell’euro e che vanno compresi e affrontati con consapevolezza. Il timore che in assenza di un’adeguata pressione esterna la spinta riformatrice si affievolisca è comprensibile; ma il vincolo esterno non può arrivare al punto di togliere ogni possibilità di scelta del modello economico-sociale, in nome di una pretesa neutralità tecnica. L’auspicio è dunque che l’azione della Bce, allentando la pressione dei mercati finanziari sul nostro Paese, lasci spazio ad un aperto confronto tra diverse soluzioni e ricette. Lo schema delle riforme calate dall’alto, da accettare in quanto «ce lo chiede l’Europa», è stato incoraggiato in passato per vincere le resistenze interne, ma nella situazione attuale sarebbe, al di là di tutto, una soluzione estremamente rischiosa, perché finirebbe per alienare in modo irreparabile il consenso a favore dell’integrazione europea.