Già all’indomani del suo varo in Consiglio dei ministri, denunciavamo la principale debolezza della legge di stabilità nella scarsa attenzione all’equità. Ma l’equità non è l’unico problema. La bontà di un sistema fiscale si misura, oltre che per l’equa ripartizione del carico delle imposte, anche per la sua efficienza e trasparenza, ovvero per il fatto di rendere minime le distorsioni nei comportamenti degli attori economici.

È noto quanto sia debole da questo punto di vista il sistema fiscale italiano, risultato di stratificazioni legislative e interventi spesso incoerenti. Anche da questo dipendono l’ampia possibilità di elusione, l’elevato costo degli adempimenti, lo scarso grado di consenso. Purtroppo, l’azione di questo governo non ha migliorato le cose. Già negli interventi di fine 2011 gli addetti ai lavori avevano riscontrato una mancanza di organicità, e c’è chi aveva parlato di «caccia al gettito senza un disegno complessivo ». La legge di stabilità conferma tale impressione.

Il principale intervento riguarda come è noto le prime due aliquote Irpef. Ora, se c’è un aspetto poco compreso e poco visibile del nostro sistema è proprio la curva della progressività dell’imposta sul reddito. Sappiamo che, per effetto del meccanismo delle detrazioni, le aliquote nominali sui primi due scaglioni non indicano il peso effettivo dell’imposta. L’esistenza delle detrazione cosiddette “a scalare” fa sì che le “vere” aliquote, la aliquote che gli studiosi chiamano “effettive”, siano pari a zero fino agli 8 mila euro, al 30% dagli 8 ai 28 mila euro, e intorno al 41% per i redditi oltre questo limite.

Peraltro, un aumento del reddito (di quello dichiarato) comporta altri costi per il contribuente: molte tariffe di servizi locali, così come i ticket sanitari, sono commisurate al reddito. Questo significa che ciascun incremento di reddito viene gravato di un carico ben maggiore di quello che appare dal riferimento agli scaglioni. La crescente selettività del welfare, il suo essere sempre meno universale e sempre più condizionato alla prova dei mezzi, una risposta certo obbligata ai tagli di bilancio, ha l’effetto di aumentare il carico fiscale effettivo sul reddito. Ma, a differenza di un aumento diretto delle imposte, ciò avviene in modo non trasparente.

Si tratta di aspetti che non dipendono dall’azione di questo governo, ma che nella legge di stabilità vengono ulteriormente accentuati, ad esempio quando si introducono limiti e franchigie alle detrazioni per i redditi superiori ad una certa soglia. È chiaro l’intento di limitare gli effetti negativi sull’equità, ma come non vedere in questo un ulteriore passo verso una maggiore opacità del sistema? A ciò si aggiunga l’infelice idea di rendere tali interventi retroattivi, un colpo di grazia alla già debole fiducia del contribuente nella stabilità del patto fiscale. Non sarebbe preferibile muoversi in un’altra direzione? Per esempio, invece di questo toglierle senza toglierle, non sarebbe il caso di ricondurre le detrazioni alla loro ragione, che è quella di incentivare spese effettivamente meritorie, operando se è il caso uno sfrondamento di quelle che non sono giustificabili?

E soprattutto, a quali priorità si obbedisce subordinando ogni altro obiettivo all’abbassamento di quelle due aliquote Irpef? Gli effetti equitativi sono discutibili. Il rilancio dei consumi, aumentando contemporaneamente l’Iva, sembra un obiettivo poco credibile. Vero è che l’abbassamento delle aliquote sull’imposta sul reddito è un segnale immediatamente comprensibile ai contribuenti. I tagli che riducono la qualità della sanità e della scuola pubblica non sono meno reali, ma il loro costo verrà percepito più in là nel tempo (e si può sempre attribuirlo alla scarsa produttività degli insegnanti). La riduzione delle imposte si traduce immediatamente in un aumento in busta paga, e pazienza se sarà speso in beni il cui prezzo risentirà dell’aumento dell’Iva. Comprendiamo quanto sia vitale, per un governo che si è fatto garante di una durissima cura di austerità, dare un segnale di ottimismo e speranza. Peraltro, se non si trattasse di un governo tecnico, poter dire di aver abbassato le tasse sarebbe un messaggio particolarmente efficace a pochi mesi dalle elezioni.