Rispetto alle parole pronunciate martedì scorso dal presidente del Consiglio Mario Monti sulla sostenibilità finanziaria del nostro servizio sanitario vale la pena richiamare qualche fatto e fissare qualche punto fermo. Con la creazione, negli anni Settanta, del Servizio sanitario nazionale, il nostro Paese superava il precedente sistema mutualistico che legava l’accesso alle cure alla condizione lavorativa, per affermare il diritto universale alla salute e l’indipendenza dell’accesso alle cure dalla capacità di pagare.

È utile a questo proposito distinguere tra finanziamento ed erogazione pubblica: il finanziamento pubblico dei servizi tramite la fiscalità non implica l’erogazione attraverso strutture pubbliche o da parte di personale pubblico. Sul versante dell’erogazione il sistema italiano è misto: professionisti privati e strutture private in convenzione forniscono nel nostro Paese una quota di servizi sanitari intorno al 50%. È il finanziamento pubblico, più che l’erogazione pubblica, a garantire l’universalità del servizio; in Italia la quota di finanziamento privato (esborso diretto del paziente o rimborso da parte di assicurazioni private) è di poco superiore al 20%, in linea con gli altri Paesi europei. Sappiamo che il principio di accesso universale non è garantito per alcuni servizi (ad esempio quelli odontoiatrici) e che in molti casi chi se lo può permettere si rivolge a specialisti privati per superare le liste d’attesa. Il principio di accesso universale viene faticosamente difeso in presenza di risorse decrescenti, e già in molti casi l’elevato livello di compartecipazione spinge ad abbandonare la sanità pubblica per quella privata: un esito che può apparire auspicabile nel breve periodo (i costi si riducono) ma rischia di portarci verso un sistema «duale» con una sanità pubblica riservata ai poveri.

Torniamo dunque al presidente Monti, che ha parlato di garantire la sostenibilità del sistema ricorrendo al finanziamento privato. Questo può aumentare con un ulteriore incremento della quota a carico dei pazienti o con un maggiore ruolo delle assicurazioni private, o magari con entrambe le cose. Se questa è l’interpretazione corretta delle parole di Monti, dobbiamo metterlo in guardia: il finanziamento privato tramite assicurazioni private è una soluzione che, dove applicata, si è rivelata fallimentare.

L’unico Paese ad economia avanzata in cui prevale il finanziamento privato sono gli Stati Uniti, e non è un caso se la riforma della sanità è stata in cima alle priorità dei presidenti Clinton e Obama. Si tratta infatti di un sistema al tempo stesso iniquo e inefficiente: è iniquo perché lascia una parte consistente della popolazione priva di copertura assicurativa o coperta in modo discontinuo; è inefficiente perché il livello della spesa sanitaria rapportata al Pil è negli Stati Uniti quasi il doppio rispetto agli altri Paesi avanzati, senza che questo si rifletta in un migliore livello di salute degli americani (anzi!); il governo federale americano spende, per i soli anziani e per gli indigenti, una quota del Pil che è di poco inferiore a quella che i governi di Italia e Regno Unito spendono per l’intero sistema sanitario pubblico.

Il problema della sostenibilità della spesa sanitaria, che tende a crescere più che proporzionalmente al reddito, è un problema serio e reale. Ma il presidente Monti non può ignorare che tale crescita è stata storicamente più elevata negli Stati Uniti che nei Paesi dove prevale il finanziamento pubblico (nell’ultimo decennio l’Italia è uno delle nazioni in cui è cresciuta di meno). La ragione è facile da capire: i sistemi pubblici possono programmare la quantità di risorse invece di lasciare che sia determinata dal sistema delle assicurazioni private, e possono moderare la dinamica dei costi esercitando un potere di monopolio nei confronti dei medici e delle case farmaceutiche.

Non si comprende dunque come il finanziamento privato possa rendere il sistema sostenibile. A meno che non si voglia risolvere il problema limitando l’accesso alle cure mediche a chi può pagarsi una costosa polizza privata, con buona pace della salute come diritto. L’attuale governo ha come stella polare l’Europa. Ma l’Europa non è solo una moneta o un’area di libero scambio, è anche un modello sociale, che ha nell’accesso universale ad alcuni servizi essenziali (sanità e istruzione in primis) uno dei suoi cardini. Che l’Europa mercato richieda l’abbandono dell’Europa modello sociale è tesi ricorrente dei conservatori. Che al contrario l’una e l’altra Europa siano due facce tra loro inscindibili è ciò che caratterizza una prospettiva progressista.