Imu: lasciarla, toglierla o cambiarla? Economisti ed esperti, in modo unanime, ci ricordano che, rispetto alle imposte che gravano sul lavoro e sull’impresa, quelle sulla proprietà immobiliare risultano meno dannose per l’attività economica e per la crescita. Sono più semplici da amministrare e più difficili da evadere, e hanno pregi non indifferenti quanto ad equità, considerando che la distribuzione del patrimonio immobiliare è tale da renderle marcatamente progressive. Infine, la distribuzione per età della proprietà immobiliare determina, nel confronto con la tassazione del reddito o del consumo, una ripartizione del carico fiscale più favorevole ai giovani, e in generale a chi non può permettersi la proprietà della propria abitazione.

Detto questo, c’è modo e modo di disegnare un’imposta sulla proprietà. Quando a fine 2011 il governo Monti decise di anticipare l’applicazione dell’Imu e di estenderla alle abitazioni principali, non mancarono le obiezioni. Molti commentatori e, in sede politica, lo stesso Partito democratico, rilevarono il rischio di un impatto pesante sulle famiglie a reddito più basso e sulle attività economiche, e proposero dei correttivi in direzione di una più marcata progressività. Questa si sarebbe potuta ottenere aumentando le deduzioni in modo da esentare una maggiore quota di immobili di minor valore. Soprattutto, il Pd propose già allora di alleggerire l’Imu affiancandola con un’imposta sui «grandi» patrimoni immobiliari, a carattere personale (tale cioè da prendere in considerazione il patrimonio complessivo del contribuente e colpire solo ciò che eccede una soglia fissata); una proposta purtroppo respinta dal governo e dal centro-destra.

Il tema dell’equità dell’Imu sta tornando alla ribalta in questo avvio di campagna elettorale. Ha destato l’attenzione dei media un rapporto redatto a fine 2012 dalla Commissione europea. Il rapporto fa il punto sugli effetti sociali della crisi nei Paesi dell’Unione e sulle politiche attuate per fronteggiarla, e ricorda come la tassazione immobiliare sia stata incrementata in molti Paesi, tra cui l’Italia, in linea con le raccomandazioni della Commissione stessa e dell’Ocse. Il rapporto rileva come, in termini generali, la tassazione degli immobili possa contribuire a ridurre le diseguaglianze; tuttavia, con riferimento specifico all’Imu italiana (cui viene dedicato uno specifico box di commento), si sottolinea che l’effetto perequativo sarebbe più accentuato se, invece di utilizzare i valori catastali rivalutati in modo lineare, tali valori fossero allineati con quelli di mercato. La maggiore equità deriverebbe dal fatto che le disparità esistenti tra valori catastali e valori effettivi sono tanto più accentuate quanto maggiore è il valore dell’immobile, per cui il mancato aggiornamento avvantaggia i contribuenti più abbienti.

Quella dell’aggiornamento delle stime catastali per renderle più aderenti agli effettivi valori di mercato è una necessità ben presente a tutti, governo Monti compreso. Non a caso tale aggiornamento era previsto nella delega fiscale. Purtroppo, come sappiamo, l’approvazione della delega è stato impedito dalla fine anticipata della legislatura; c’è anzi chi attribuisce l’accelerazione della crisi proprio all’intenzione del Pdl di assicurarsi una campagna elettorale con le mani libere sulle questioni fiscali. Berlusconi propone ora di tornare alla situazione vigente prima del 2012, quella in cui tutte le «prime case» erano escluse dalla tassazione. Una soluzione non solo iniqua perché esenta allo stesso modo il piccolo appartamento in periferia e quello di pregio nel centro storico, ma fonte di difficoltà per i Comuni, che si troverebbero a finanziare i propri servizi potendosi rivalere soltanto sulle seconde case o gli immobili commerciali; una situazione squilibrata e lontana da quanto sarebbe richiesto da un corretto rapporto fiscale, in cui c’è corrispondenza tra percettori di benefici (i residenti) e contribuenti.

Chiudiamo con un’annotazione sul citato rapporto della Commissione: i giornali riferiscono oggi solo quanto contenuto nella mezza pagina dedicata all’Imu, ma il rapporto è importante soprattutto perché, per la prima volta, guarda al consolidamento fiscale in atto nell’Unione europea con un’attenzione prevalente al loro impatto sociale. Cioè il grande assente dalle raccomandazioni e dall’azione di governo degli ultimi anni.