Di fronte all’ultima promessa di Berlusconi, quella di eliminare l’Imu sulla prima casa e addirittura restituire quanto pagato nel 2012, proviamo a resistere per un istante all’ovvia tentazione di scuotere la testa sconsolati, e magari di ritrarci scoraggiati di fronte alla sensazione di déjà vu. Tentiamo invece qualche riflessione.

A disturbarci non è certo la promessa di ridurre le imposte. Berlusconi non è l’unico in questo. Lo ha fatto ripetutamente l’attuale premier Monti, e il Partito democratico ripete da anni ormai che una volta al governo si impegnerà a ridurre il peso del fisco su lavoro e impresa. Sulla stessa abitazione principale, il Pd propone una rimodulazione dell’Imu, con l’azzeramento dell’imposta per una quota rilevante di proprietari. La proposta Berlusconi si differenzia dunque soltanto per il vantaggio che darebbe agli immobili di maggior valore tra quelli adibiti ad abitazione principale. La questione non è nemmeno se questo specifico impegno sarà o meno mantenuto. Nell’improbabile ipotesi che Berlusconi vincesse queste elezioni, non abbiamo difficoltà a credere che, a differenza delle altre mirabolanti promesse elencate nel programma del Pdl, l’abrogazione dell’Imu sull’abitazione principale e la restituzione di quanto pagato sarebbero effettivamente oggetto del primo Consiglio dei ministri, come accadde per l’Ici nel 2008.

È certo possibile criticare la proposta berlusconiana nel merito, osservando che con l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa e, in prospettiva, dell’Irap (altro impegno ribadito in questi giorni), risulterebbero compromesse le due principali fonti proprie di finanziamento di Comuni e Regioni; diventerebbe a quel punto assai arduo parlare di decentramento e federalismo fiscale. Potremmo inoltre osservare che, volendo restituire agli italiani 4 miliardi (quanto è stato il gettito Imu sulle abitazioni principali nel 2012), vi sono innumerevoli altri modi per farlo, ben più equi sul piano distributivo e ben più efficaci per il rilancio dell’attività economica.

Ma tutti i buoni argomenti in termini di razionalità economica ed equilibrio del sistema fiscale rischiano di mancare il punto, che va ricercato sul piano della comunicazione e del messaggio politico che il Cavaliere intende lanciare. Più che alla credulità dell’elettorato, o a specifici e ben individuabili interessi, Berlusconi sembra ormai fare apertamente appello alla sfiducia e alla rassegnazione rispetto alla possibilità di riscatto del Paese. Non offre alcuna prospettiva credibile, ma sembra volerci dire che con lui per lo meno avremo la garanzia di un beneficio concreto immediato ed esigibile. Non un generico impegno a ridurre la pressione fiscale, ma un riferimento preciso ad una specifica imposta, l’imposta che è l’emblema dei sacrifici dell’ultimo anno, il cui ammontare ciascun contribuente può immediatamente calcolare. Non qualcosa da realizzare quando verranno le condizioni, ma un beneficio immediato (nel primo Consiglio dei ministri, nel primo mese), esigibile addirittura «in contanti». E poco importa se più in là dovremo pagare il conto, con l’aumento di altre imposte o con qualche ulteriore taglio a istruzione, sanità, assistenza o trasporti. È in fondo la logica disperata del pochi maledetti e subito.

Sul subito si è detto. Quanto al pochi e maledetti, il nostro elettore-contribuente non dovrebbe trovare difficile capire quanto potrebbe realmente costarci un nuovo governo Berlusconi. Se non fosse bastato il decennio passato, in cui un’Italia priva di un’idea di sé ha perso l’occasione favorevole dell’adesione all’euro; se non fossero bastate vicende come quella delle quote latte o dell’Alitalia, ciascuna delle quali da sola «vale» come il gettito Imu; se non fosse bastato il modo in cui si è risposto alla crisi negandola; se non fosse bastato tutto questo, il nostro elettore dovrebbe quanto meno chiedersi se sia pensabile affidare a Berlusconi la fase che abbiamo davanti. Nei prossimi mesi sarà cruciale che l’Italia partecipi da protagonista alla costruzione di una nuova costituzione economica europea; credibilità e fiducia del nostro governo all’interno e all’estero saranno determinanti per evitare di precipitare nuovamente in una crisi come quella del 2011. Silvio Berlusconi, che è meritatamente diventato l’emblema dell’inaffidabilità del nostro Paese, è la persona meno indicato a guidarlo. Di fronte alla posta in gioco, la restituzione dell’Imu rischia di essere ben magro premio di consolazione.