In fondo può essere visto come un problema di sincronizzazione. Ciò che rende tutto così difficile è anche il fatto che economia e politica si muovono con tempi e velocità diverse. La politica italiana sembra arrivata ad un punto di stallo. Nel frattempo la crisi economica non si ferma, continua a consumare posti di lavoro e ad erodere la nostra base produttiva.

La famosa luce in fondo al tunnel non si vede, il 2013 potrebbe essere persino peggiore dell’anno passato. Il tempo, lungi dall’essere un alleato, acuisce quei problemi che alimentano rabbia e disperazione, e sono terreno di coltura per spinte politiche estreme. Senza contare il rischio di una brusca accelerazione, se all’apertura dei mercati, oggi o nelle prossime settimane, prendessero forza aspettative negative sulle prospettive del nostro Paese, finora tenute a freno più dalla difficoltà di capire che dalla fiducia in una soluzione positiva.

La politica è ferma, ma incombono le scadenze: mentre un’Italia ansiosa punta gli occhi sulle consultazioni, le dichiarazioni di Grillo e le giravolte di Berlusconi, si impongono passaggi importanti. Entro poche settimane governo e Parlamento dovranno varare il Documento di economia e finanza, cioè il momento cruciale dell’azione di politica economica. In esso si definiscono gli obiettivi relativi ai saldi di bilancio pubblico e, con il Programma nazionale di riforme, gli interventi strutturali che il Paese intende porre in atto. Sulla base di esso vengono formulate indicazioni e raccomandazioni da parte dell’Europa. Il Documento avrebbe dovuto essere il primo atto del nuovo governo politicamente legittimato dalle urne. Sarà invece l’ultimo atto di un esecutivo tecnico che, se non è mai stato formalmente sfiduciato, ha perso la fiducia degli italiani. Il Parlamento potrà certo fornire indicazioni e proposte, ma è difficile che in questa situazione di incertezza si dia corpo ad un’iniziativa all’altezza della sfida (né le commissioni di saggi possono fare alcuna differenza).

Eppure i tempi sarebbero per certi versi favorevoli. Nell’ultima riunione del Consiglio europeo abbiamo visto da parte dei nostri partner un atteggiamento finalmente meno rigido (nel concreto: l’indicazione sulla possibilità di escludere alcune spese di investimento dai vincoli del fiscal compact). Una timida disponibilità ad una correzione di rotta. Il frutto della fiducia conquistata in un anno di sacrifici? Più verosimilmente la presa di coscienza che la cura non sta funzionando, che sulla linea imboccata si rischia di uccidere il paziente invece di guarirlo. Sarebbe un’occasione da cogliere, ma è difficile sperare in grandi apertura di credito verso un’Italia priva di un governo autorevole, politicamente autorevole, che garantisca affidabilità ma mostri al tempo stesso fermezza nel far valere le ragioni del nostro Paese.

La politica non tiene dunque il passo della sfida economica. Ma, drammaticamente, vale anche l’opposto: stiamo scontando gli esiti di una linea economica che ha colpevolmente trascurato i tempi della politica e della democrazia. Oltre che la dimensione, è stata infatti sottovalutata la durata degli effetti delle politiche di austerità. Non è stato questo in fondo l’errore compiuto a fine 2011? Affidare politiche lacrime e sangue ad un governo che avrebbe avuto, nella migliore delle ipotesi, un orizzonte temporale di poco più di un anno. Nella vana speranza che in questo lasso di tempo l’agenda Monti avrebbero condotto l’economia italiana fuori dalla crisi e sarebbe stata premiata dagli elettori.

Di fronte all’attuale impasse, prendere tempo potrebbe essere una mossa saggia, a patto che un rinvio di poche settimana sia il preludio ad un governo capace di imprimere una vera svolta nella politica economica. Altra cosa sarebbe illudersi ancora una volta che sia possibile uscire da questa situazione semplicemente tirando avanti con la medesima cura, nell’attesa che finalmente funzioni. Come se non fosse a tutti noto il celebre adagio di Keynes per cui non si può basare la propria azione sul presupposto che quando la tempesta sarà finita il mare sarà nuovamente calmo: quella di insistere attendendo un ritorno spontaneo all’equilibrio di lungo periodo è una prospettiva fuorviante, visto che «nel lungo termine siamo tutti morti».