Vi sono diverse proposte sul tappeto, miranti a favorire l’occupazione, soprattutto quella giovanile, fornendo incentivi fiscali, semplificando le assunzioni sul piano normativo, operando sui servizi per l’impiego. E c’è accordo ampio sul fatto che occorra concentrare le risorse disponibili per interventi a tutto campo miranti ad aumentare l’occupazione. Occorre tuttavia essere chiari su un punto generale. Le cosiddette politiche attive per il lavoro, così come gli interventi sul cuneo fiscale e quelli sulle regole contrattuali, possono essere certo utili, ma difficilmente saranno decisive rispetto alla dimensione del problema che abbiamo di fronte. Molti economisti, e una parte consistente dei decisori politici, continuano purtroppo a ragionare sulla base di schemi concettuali e modelli di azione che considerano la disoccupazione un problema di cattivo coordinamento tra domanda e offerta, di eccessive frizioni sul mercato del lavoro, di carenza di offerta dovute al peso della tassazione.

Senza con questo negare le difficoltà «di lungo periodo» della nostra economia, e senza trascurare il fatto che nei prossimi anni sarà necessario accompagnare mutamenti importanti nella nostra struttura produttiva riallocando il lavoro tra settori e attività, occorre riconoscere che, in questo momento, il problema delle economie europee è un problema di carenza di domanda.

Per quanto ben funzionanti siano i meccanismi di collocamento, per quanto flessibile sia il mercato del lavoro, per quanto si intervenga con riduzioni del cuneo fiscale, un’impresa non assumerà finché le prospettiva sulla domanda per i propri prodotti sono incerte, non investirà senza aspettative di crescita del mercato in cui opera. Negli anni ’30 Keynes si trovò a contrastare la visione, prevalente tra i suoi colleghi economisti che ispiravano le politiche dei governi, per cui possono esserci al più divergenze tra domanda e offerta a livello settoriale, ma non a livello aggregato. Si riteneva che l’offerta (di lavoro, di capitale) fosse in grado attraverso opportuni aggiustamenti dei prezzi di generare la domanda necessaria a garantire la piena occupazione delle risorse; l’astensione dai consumi correnti, il risparmio, lungi dal rappresentare un problema, avrebbe alimentato, tramite il circuito finanziario e monetario, gli investimenti.

Keynes criticò con forza tali convinzioni, argomentando che mercati finanziari e mercato del lavoro non sono sempre in grado di correggere in modo autonomo gli squilibri macroeconomici; suggerì quindi che fossero necessarie coraggiose politiche di domanda, ovvero programmi di investimento e politiche redistributive in grado di rilanciare i consumi. A chi obietta che lo spazio di manovra per le politiche fiscali è oggi molto limitato andrebbe ricordato che a metà degli anni ’30 il debito pubblico britannico era ben più elevato dell’attuale debito italiano, e che è solo attraverso un rilancio dell’attività economica che si può sperare di risanare le nostre finanze.

Le politiche cosiddette di austerità si basano sul presupposto che l’Europa possa trovare la strada della crescita attraverso una riduzione dei prezzi, facendosi trainare dalla domanda estera. L’export è senz’altro un elemento molto importante della domanda, ma è illusorio pensare che la principale area economica del pianeta quale è l’Europa rinunci ad un motore di domanda autonomo e possa trovare un’uscita dalla crisi adottando politiche che deprimono consumi e investimenti interni. Ben vengano dunque interventi mirati al mercato del lavoro, purché non si perda di vista l’aspetto macroscopico del problema: occorre riattivare il circuito degli investimenti, del credito, dei consumi.

È un punto che, su queste pagine, ripetiamo con forza ormai da quasi due anni: le ricette di austerità e consolidamento fiscale non portano ai risultati annunciati. Una vera ripresa dell’attività economica e quindi dell’occupazione è possible solo allentando l’approccio vincolistico e restrittivo fin qui adottato a livello europeo. Prima ci si renderà conto di questo, prima potrà avviarsi la ripresa dell’economia e dell’occupazione.