Si sa che i governi tendono sempre a enfatizzare i segnali positivi provenienti dall’economia. Non si tratta solo di convenienza politica: è noto il ruolo positivo dalle aspettative e della fiducia sull’attività economica. Bene ha fatto dunque il governo italiano a sottolineare i pur timidi segni di ripresa registrati dagli indicatori congiunturali.

Non ci si potrà d’altra parte tacciare di pessimismo o scetticismo se rileviamo che questi segnali sono ben lungi dall’annunciare un ritorno ad una fase di benessere, o la fine della crisi. La lunga serie di dati negativi ci fa considerare un arresto della caduta, o magari qualche decimale di punto di crescita, come un segnale incoraggiante. Ma il calo nel livello di attività accumulato in questi anni, la perdita di posti di lavoro, la scomparsa di un gran numero di imprese, sono dati purtroppo in larga parte irreversibili nel breve periodo.

Pochi giorni fa un rapporto del Fondo monetario sull’economia spagnola, nel prevedere una crescita nei prossimi anni dell’1-1,5% annuo, affermava che difficilmente ciò porterà ad un recupero dell’occupazione, tanto da rendere improbabile prima del 2018 una riduzione del tasso di disoccupazione al di sotto del 25%, livello spaventosamente elevato. E stiamo parlando di un’economia, quella spagnola, che ha già effettuato ampie ristrutturazioni delle imprese, con recuperi di produttività realizzati al prezzo di riduzioni dell’occupazione. Qual è la prospettiva per l’Italia? Difficile che una crescita comunque stentata come quella prevedibile per i prossimi anni sia sufficiente a determinare un aumento dei posti di lavoro. Occorre dunque utilizzare tutti gli spazi possibili per rafforzare e consolidare la ripresa; servono politiche coraggiose, che spingano le imprese ad investire e le famiglie a consumare. Politiche di domanda, che richiederebbero, come abbiamo ripetuto innumerevoli volte su queste pagine, un cambio di passo anche a livello europeo.

Eppure, ancora pochi giorni fa la Bce insisteva nel suo bollettino mensile su una ricetta interamente basata sulle politiche di offerta: consolidamento di bilancio, flessibilità nel mercato del lavoro, concorrenzialità dei mercati. D’altra parte, i timidi segnali di ripresa nel nostro paese vengono letti dai giornali tedeschi vicini al governo Merkel come la prova che, in fondo, le politiche di austerità stanno funzionando. Il fatto che una situazione di drammatica caduta della produzione lasci il posto ad un periodo, forse prolungato, di crescita esangue, rischia di essere grottescamente presentato come un successo, che potrebbe raffreddare le ambizioni per una revisione più profonda delle politiche economiche a livello comunitario.

Mentre l’economia americana, anche per effetto di politiche monetarie e fiscali espansive, torna a crescere a ritmi sostenuti, l’Europa resta un’isola di bassa crescita, bloccata da una visione rigorista alimentata da chiusure ideologiche e convenienze nazionali. I Paesi dell’area tedesca continuano a rifiutare l’idea che il riequilibrio richieda politiche espansive nelle aree meno colpite dalla crisi. C’è una comprensibile attesa per l’appuntamento delle elezioni tedesche a fine settembre, ed è dunque quest’autunno che si misurerà la capacità del nostro governo di prendere un’iniziativa politica più decisa, in attesa del semestre di presidenza italiana nel 2014.

Nel frattempo, non resta che usare le poche leve disponibili. Il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese è stato un intervento di grande rilevanza, quanto di più simile ad una manovra espansiva era possibile nelle condizioni date. Da giugno ad oggi è stata fornita alle imprese liquidità per 6 miliardi di euro, che diventeranno 15 di qui a poche settimane secondo la tabella di marcia. L’auspicio è che il governo insista su questa strada, anticipando nella misura massima possibile i rimborsi previsti per il 2014. L’altro intervento, ancora da disegnare ma necessario e realizzabile, riguarda il credito. Sappiamo che lo Stato ha una capacità di spesa praticamente azzerata, ma può offrire al sistema bancario e alle imprese garanzie capaci di riattivare il circuito del credito all’attività produttiva che si è quasi arrestato nei mesi passati. Fortunatamente, diversamente da altri temi che occupano il centro della scena sui media e nei dibattiti, si tratta di interventi su cui c’è un ampio consenso sia nella maggioranza di governo che nel Parlamento.