Leggendo il piano di lavoro del commissario alla spending review, pubblicato sul sito del ministero dell’Economia, si avverte una grande determinazione. Determinazione e insieme ambizione. Il programma di revisione della spesa dovrà toccare un ampio insieme di ambiti: dalla scuola, alla sanità, alla previdenza, al funzionamento dei ministeri agli enti locali e le società da essi partecipate. Stando alle intenzioni, lo farà entrando nel dettaglio di questioni che vanno dall’utilizzo degli insegnanti di sostegno ai protocolli di appropriatezza delle prestazioni mediche.

Questa ampiezza e questa profondità danno le dimensioni del compito che attende il commissario Cottarelli, ma individuano anche qualche rischio, nel caso in cui tale compito non fosse chiaramente delimitato e definito negli obiettivi. Un intervento così ambizioso viene infatti condizionato dalle necessità di ottenere in tempi sufficientemente rapidi (l’orizzonte è quello di un triennio) risparmi di spesa consistenti (il ministro Saccomanni ha parlato di 2 punti di Pil, ovvero circa 30 miliardi di minori spese).

Esaurite da tempo le possibilità consentite dai tagli lineari, toccato con mano quanto sia difficile realizzare ulteriori risparmi nell’assetto attuale senza compromettere la capacità di erogare prestazioni, sappiamo che è solo attraverso una riorganizzazione profonda della Pubblica amministrazione che sarà possibile ottenere risultati sul versante della spesa pubblica. Parlando di riorganizzazione ci riferiamo all’articolazione della Pubblica amministrazione, alla distribuzione delle responsabilità tra centri di spesa, alla capacità di programmare con risorse certe e contare su regole stabili nel tempo, all’adozione di tecnologie più moderne, alla qualificazione del personale. Processi necessari che chiedono tempi lunghi.

Non vorremmo dunque che la fretta di raggiungere obiettivi a breve termine incoraggiasse qualche scorciatoia. A poco servirebbe ad esempio ridurre la spesa pubblica se questo avvenisse aumentando in misura equivalente o superiore la spesa sostitutiva privata. È noto ad esempio che il nostro sistema sanitario a base pubblica è uno dei più economici tra quelli dei Paesi ad economia avanzata. Ed è altresì noto che una crescente incidenza del privato è associata a livelli crescenti di spesa sanitaria pro capite. Un risparmio che scaricasse sul bilancio delle famiglie l’onere delle cure non sarebbe vero risparmio.

Un’altra tentazione da evitare è quella di perseguire risparmi di spesa attraverso una maggiore selettività, in ossequio all’idea che la spesa pubblica debba concentrarsi solo sui meno abbienti, mentre coloro che se lo possono permettere devono provvedere da sé. Sarebbe questo un abbandono dell’approccio universalistico che caratterizza da sempre i migliori sistemi di welfare europei. Sarebbe la premessa di quel welfare per i poveri lontanissimo dall’idea che istruzione, salute, protezione dai grandi rischi dell’esistenza siano parte dei diritti di cittadinanza. Sarebbe peraltro una visione miope: è noto che i sistemi universalistici sono sostenibili a livelli di spesa molto più elevata rispetto ai sistemi più selettivi. La selettività determina una progressiva delegittimazione della spesa pubblica (perché da membro della classe media dovrei contribuire ad un sistema da cui non traggo beneficio?); introduce disincentivi perversi nel momento in cui un aumento del reddito individuale non è associato solo a maggiori imposte ma anche a minori prestazioni; è associata a maggiori livelli di diseguaglianza.

Al commissario alla spending review e alla sua squadra va offerto dunque il sostegno più convinto riguardo all’obiettivo di individuare sprechi, disfunzioni, inefficienze. Sostegno non retorico, se è vero che il perseguimento dell’efficienza è la premessa di ogni difesa credibile del ruolo del pubblico. Sarà tuttavia necessario tenere sempre distinto tale insieme di interventi, quelli «a parità di quantità e qualità di servizi erogati», da azioni più profonde in tema di definizione del perimetro dell’azione pubblica, azioni che vanno ben oltre la dimensione tecnica e dunque non possono che essere oggetto di una ponderata decisione politica. Andrà in particolare evitato che la spinta a contenere a tutti i costi la spesa incoraggi interventi che possono mutare la natura del nostro sistema in direzione di quel welfare residuale che non appartiene né alla tradizione del modello sociale europeo né all’orizzonte ideale del centrosinistra.