Quello del Presidente Napolitano al Parlamento Europeo è stato un grido in cui è impossibile non riconoscersi. Almeno per chi ancora crede al significato storico del progetto europeo, e quindi vede concreto il rischio della sua dissoluzione, sotto i colpi pesanti della crisi economica e del crescere di forze che su tale disgregazione scommettono. Erano soltanto due anni fa quando una parte importante dei politici, dei commentatori più influenti e degli addetti ai lavori insisteva sui nostri «compiti a casa». Sostenendo che rassicurando i mercati finanziari con tagli alla spesa e privatizzazioni l’economia sarebbe ripartita e i rischi per l’euro sarebbero svaniti.

In questo inizio di 2014 prevale la consapevolezza che la strada dell’austerità – o, nelle parole del Presidente, «dell’austerità ad ogni costo» – non è la soluzione, ma può anzi innescare un vero e proprio circolo vizioso «tra politiche restrittive nel campo della finanza pubblica e arretramento delle economie europee». Sulle pagine di questo giornale in molti lo abbiamo detto e ripetuto fin dall’aggravarsi della crisi nel 2011. Non tanto la capacità di persuasione dei nostri argomenti, quanto il protrarsi e l’acuirsi della crisi sociale ed economica, ha consolidato la convinzione, ormai trasversale alle forze politiche, che su questa strada non si possa continuare a lungo.

Occorre tuttavia evitare l’illusione che tale consapevolezza sia ugualmente diffusa in tutto il continente; peccheremmo di ottimismo se pensassimo che le affermazioni del presidente Napolitano, applaudite dalla platea dei parlamentari europei, possono trovare facilmente riscontro nell’azione politica della cancellerie europee. Purtroppo, mai come in questo momento il sentimento degli europei è diviso in base alla geografia. Se i populismi crescono un po’ ovunque, essi assumono per lo più la forma di un ripiegamento nazionalistico. Nei Paesi dell’area tedesca, in cui la crisi si è manifestata in modo molto meno acuto che da noi, il ritardo nella ripresa è attribuito non già alla mancanza di una risposta politica adeguata a livello di eurozona, ma alla scarsa determinazione con cui i Paesi della periferia stanno attuando le politiche di riforma strutturale. La crisi del 2008 non è interpretata per quello che è, cioè l’esito di squilibri dovuti in larga parte ad un difetto nell’architettura dell’euro ma, contro ogni evidenza, come una conseguenza della dissipatezza dei Paesi più colpiti. Né mancano, tra i sostenitori della linea di austerità, coloro che ritengono che quegli squilibri si stiano riassorbendo in modo autonomo, e che quindi le politiche adottate stiano infine funzionando.

Il presidente Napolitano invoca un rilancio e una svolta nel segno della solidarietà. Ma gli stessi dirigenti della Spd e degli altri partiti socialisti dei Paesi dell’area tedesca, anche quelli più accorti, se messi alle strette vi spiegheranno che chiedere ai loro elettori di farsi carico della crisi di italiani e spagnoli comporterebbe un prezzo politico elevato. Forte è la sensazione che non solo manchino le basi di quella solidarietà che sola può sostenere il progetto di completamento dell’Unione, ma che sia debole anche la consapevolezza della profonda interdipendenza tra i Paesi europei, del fatto che ormai si sopravvive o si cade insieme.

È per queste ragioni che è particolarmente importante il passaggio che ci attende. È per questo, in particolare, che è necessario incoraggiare il rafforzamento dei legami tra partiti appartenenti alla famiglia socialista e democratica. Lo è nonostante le evidenti difficoltà: nonostante il fatto che la ricerca di un consenso ampio tra le diverse sensibilità dei partiti socialisti nazionali stia determinando, nella piattaforma del candidato Martin Schulz, posizioni obiettivamente poco incisive sul versante economico; nonostante la sconcertante scelta del presidente Hollande, di puntare all’interno sulle politiche di offerta, tradizionale cavallo di battaglia dei conservatori, e all’esterno sul rafforzamento dell’asse privilegiato tra Parigi e Berlino, rinunciando a farsi alfiere di un cambio di rotta nelle politiche europee. In questo contesto diventa cruciale infatti il ruolo della sinistra italiana nel farsi interprete presso i partner del disagio di una parte così importante dell’Europa e nel sollecitare un cambiamento.

Il Pd non può permettersi di mancare a questo appuntamento, ed è importante che in vista del semestre europeo il governo abbia il pieno sostegno del principale partito della maggioranza. Il presidente Napolitano ha dato un segnale chiaro e incisivo. Sta al presidente Letta per un verso e al segretario Renzi per l’altro essere all’altezza delle attese.