Gli 80 euro ci saranno. Ma su questo, dobbiamo riconoscerlo, non ci aspettavamo sorprese, vista la forza con cui l’impegno era stato formulato. Più interessante e controverso è il capitolo delle coperture, per due ragioni. La prima è ovviamente quella di capire chi pagherà il conto del beneficio fiscale ai lavoratori dipendenti con redditi fino a 25 mila euro. Nei giorni scorsi si sono rincorse molte ipotesi, sulla possibilità di una riduzione o eliminazione di alcune detrazioni o su «tagli» alla sanità o alle pensioni.

Da quanto annunciato, le risorse proverranno soprattutto dalle misure indicate dal commissario Cottarelli e interesseranno a quanto pare una pluralità di voci di spesa meno sensibili. Tra le una tantum, positiva ci sembra d’altra parte la scelta di raddoppiare la tassazione sulla plusvalenza determinatasi in capo ai maggiori gruppi bancari per la rivalutazione delle quote di Bankitalia; a fronte del vantaggio ricevuto, l’imposta inizialmente prevista era francamente troppo esigua. Ma c’è, come dicevamo, un secondo aspetto su cui si concentravano le attese: l’entità complessiva delle coperture. Non era chiaro infatti se il governo avrebbe confermato il percorso di avvicinamento al pareggio delineato dai suoi predecessori, o avrebbe invece dato seguito alla dichiarata intenzione di determinare un cambio di passo in Europa. È vero che il presidente Renzi aveva più volte affermato di voler rispettare gli impegni, ma non era del tutto chiaro se si riferisse al limite del 3% (da lui peraltro definito anacronistico), o dai più vincolanti impegni determinati dal fiscal compact.

Se il governo avesse indicato coperture parziali e avesse utilizzato il margine disponibile fino al 3%, come pure era stato ipotizzato da esponenti del governo, sarebbe stata esplicita l’intenzione di ridiscutere il quadro delle politiche fiscali concordate con l’Europa. Imboccare una strada più marcatamente «keynesiana», con un percorso di risanamento più diluito nel tempo e un rilancio della domanda, è l’auspicio di gran parte degli economisti critici verso le politiche di austerità. Una scelta di aperta rottura con la Commissione e con la linea dell’austerità, per quanto coraggiosa e di discontinuità, sarebbe stata tuttavia rischiosa, visto che l’ombrello protettivo offerto dalla Bce sul nostro debito si regge su un delicato equilibrio politico, con il presidente Draghi che deve cercare di garantire la tenuta dell’euro senza innervosire troppo i rappresentanti tedeschi, attestati sulla linea del rigore e diffidenti verso i paesi del Sud Europa.

Il Def conferma invece per il 2014 l’obiettivo del 2,6% di deficit indicato dal governo Letta. Se portata effettivamente avanti, questa scelta comporta la rinuncia ad imprimere quello spinta, quello stimolo alla domanda, da più parti invocato come condizione per la ripresa. Tagliare le imposte e insieme la spesa nello stesso ammontare non determinerà l’atteso aumento della domanda interna; è più probabile anzi che la possa ridurre, visto che buona parte della spesa pubblica è domanda corrente, mentre il potere d’acquisto delle famiglie potrebbe essere momentaneamente accontonato come risparmio. E occorre essere chiari su un altro punto: l’efficientamento della spesa pubblica è un obiettivo doveroso, va intrapreso con decisione al fine di migliorare la qualità dell’intervento pubblico, liberare risorse da destinare agli investimenti e ridurre il peso dell’imposizione; ma ai fini del rilancio della domanda nel breve periodo la distinzione tra spesa pubblica produttiva e improduttiva (qualunque sia la definizione per quest’ultima) è quasi irrilevante. Anche la spesa pubblica meno produttiva consiste infatti di acquisti di beni e servizi da imprese, di pagamento di stipendi, di trasferimenti alle famiglie o alle imprese, che contribuiscono alla domanda interna.

Il Def del governo Renzi annuncia azioni rilevanti in vari campi, e nei prossimi giorni ci sarà modo di analizzare nel dettaglio gli interventi strutturali indicati nel Programma nazionale di riforma, che si spera possano incidere sul potenziale di crescita negli anni a venire. Ma il rilancio della domanda nell’immediato richiederebbe ben altro, a cominciare ad un allungamento del sentiero di convergenza al pareggio di bilancio. La considerazione di questa strada è, per il momento, rimandata.