Mi è capitato di rileggere in questi giorni il celebre saggio del 1943 dell’economista polacco Michael Kalecki Aspetti politici del pieno impiego (qui una traduzione in italiano). In questo scritto, Kalecki discute le ragioni dell’opposizione della grande impresa (big business) alle politiche di piena occupazione, che sulla scorta della Teoria generale di Keynes avevano in quegli anni conquistato il mondo accademico ed erano ormai accettate dai governi. Che gli imprenditori si oppongano alla piena occupazione del lavoro potrebbe apparire a prima vista sorprendente: in periodi di recessione non dovrebbero essi guardare con favore un intervento pubblico mirante allo stimolo della domanda? Ma le ragioni di tale opposizione non sono economiche bensì politiche.

Kalecki distingue tre ordini di obiezioni alle politiche di domanda attuate dal governo per garantire il pieno impiego: (1) un’obiezione generale all’interferenza dello Stato nel funzionamento dell’economia, che si traduce normalmente nella richiesta di disciplina di bilancio e quindi nell’opposizione alla spesa in deficit, (2) un’avversione alla particolare forma di intervento rappresentata dagli investimenti pubblici, (3) un’opposizione alle conseguenze di carattere politico-sociale di tali politiche pubbliche, che si traduce in un’opposizione al mantenimento nel tempo della piena occupazione.

Dal primo punto di vista, l’obiezione all’intervento pubblico è dovuta al fatto che in un’economia di laissez-faire la salute dell’economia e dell’occupazione dipendono dal grado di “fiducia” degli imprenditori privati, dai quali dipendono le scelte di investimento. La necessità di garantire un clima di fiducia conferisce a imprenditori e investitori un implicito potere di ricatto sulle scelte economiche del Paese: nessuna scelta che possa minare tale clima è accettabile, pena il rischio di una recessione. Non c’è bisogno di spiegare ulteriormente il punto, che risulta chiarissimo a chi come noi abbia ormai familiarità con l’uso politico che può essere fatto della minaccia degli spread o del rischio di perdere la fiducia dei mercati. Il fatto che lo Stato, attraverso l’attuazione di politiche di stabilizzazione macroeconomica, possa interferire ripristinando un clima di ottimismo è quindi percepito dai capitalisti come una perdita di potere, dunque una minaccia.

Altrettanto chiaro è da dove possa originare un’opposizione alle modalità di stimolo dell’economia attraverso gli investimenti pubblici, che potrebbero ridurre la profittabilità di quelli privati o risolversi magari in nazionalizzazioni. Per la verità, anche l’alternativa di sostenere i consumi di massa risulta poco attraente, in quanto viola il principio fondamentale dell’etica capitalista per il quale “ti guadagnerai il pane col sudore della fronte — a meno che tu non sia ricco di famiglia”. Dal punto di vista dei capitalisti, meglio sarebbe agire sugli investimenti privati, attraverso una riduzione del costo del credito, un abbassamento delle imposte o sussidi diretti alle imprese che investono.

Ma ancor più interessante è leggere come Kalecki spiega il terzo ordine di obiezioni dei capitalisti all’azione dello Stato, che ha a che vedere con le conseguenze di carattere sociale e politico derivanti dal mantenimento nel tempo della piena occupazione: la piena occupazione limiterebbe in modo significativo le possibilità per le imprese di utilizzare la minaccia di licenziamento come strumento di disciplina verso i lavoratori. Aumenterebbe la forza contrattuale di questi e muterebbe alla fine anche i rapporti di forza politici. È vero che con la piena occupazione i profitti sarebbero più alti, ma, così commenta Kalecki, «i capi delle imprese apprezzano la disciplina nelle fabbriche e la stabilità politica più dei profitti stessi».

Se il saggio di Kalecki illustra molto bene le ragioni per le quali tra i capitalisti sarà sempre difficile trovare sostenitori del pieno impiego, particolarmente penetrante risulta il passaggio nel quale l’economista delinea i caratteri del fascismo dal punto di vista economico. Siccome questo è il punto che più mi premeva sottolineare in questa occasione, riporto il pezzo integralmente (trad. mia):

Una delle funzioni importanti del fascismo, esemplificata dal regime nazista, è stata quella di rimuovere le obiezioni dei capitalisti al pieno impiego.

La repulsione verso le politiche di spesa del governo è superata nel fascismo dal fatto che l’apparato statale è posto sotto il controllo diretto della partnership tra grande impresa e regime. Il mito della “solidità di bilancio”, che serviva ad evitare che il governo potesse neutralizzare una crisi di fiducia attraverso la spesa pubblica, non è più necessario. In una democrazia, non si sa cosa farà il prossimo governo; nel fascismo, non c’è un prossimo governo.

L’avversione alla spesa pubblica, sia sotto forma di investimenti che di consumi pubblici, viene superata dalla scelta di concentrare tale spesa negli armamenti. La “disciplina in fabbrica” e la “stabilità politica” in una situazione di piena occupazione, infine, sono garantiti dall’instaurazione di un “nuovo ordine”, che adotta misure che vanno dalla soppressione dei sindacati ai campi di concentramento. La pressione politica rimpiazza la pressione economica rappresentata dalla disoccupazione.

Il fascismo rappresenta dunque una soluzione al problema di realizzare la piena occupazione in modo compatibile con gli interessi dei capitalisti.

In un momento nel quale non si fa che parlare di fascismo risorgente, mi è parso importante ricordare, attraverso le parole di Kalecki, quale sia stata la funzione ultima che questo regime ha svolto storicamente, nel periodo tra le due guerre ma anche in anni più vicini a noi, ad esempio con le dittature fasciste latino americane. Il fascismo è opposizione alla libertà, ma è soprattutto opposizione a qualsiasi ipotesi di evoluzione del sistema economico in una direzione in senso lato socialista.

Quindi, è innegabile che il fascismo abbia in sé una componente di razzismo (la cui finalità ultima è quella di dividere il popolo e impedire la solidarietà di classe tra i lavoratori) e di intolleranza del diverso, che occorre contrastare con la massima forza. Ma non dobbiamo perdere di vista il fatto che esso non si esaurisce nel razzismo, nell’autoritarismo, nel nazionalismo o nell’esaltazione della violenza. Se è vero quanto dice Kalecki, il fascismo ha una finalità precisa, che è quella di garantire una stabilizzazione sociale “dall’alto” quando il capitale vede minacciato l’ordine che ne garantisce il controllo dei rapporti economici sociali e politici. È allora che il rischio si fa concreto e bisogna massimamente vigilare.