Angela Merkel ci ricorda che la forza della Germania non è infinita. Affermazione vera, ma anche rivelatrice di una visione non corretta del problema. Immaginare la crisi europea come la somma di tante crisi nazionali, la cui soluzione richiederebbe accesso alla cassaforte tedesca, significa infatti non comprendere la vera natura del problema. Per affrontare adeguatamente la crisi occorre innanzitutto riconoscerne la natura europea, e abbandonare una certa visione che contrappone buoni e cattivi, forti e deboli.

La crisi è europea innanzitutto perché l’architettura dell’unione monetaria è una delle ragioni per cui si fatica a trovare una soluzione tramite cure nazionali. Se fino al 2008 l’unione monetaria poteva apparire un geniale compromesso, capace di garantire la certezza nei rapporti commerciali e la mobilità (soprattutto dei capitali) senza una rinuncia a politiche fiscali e sistemi bancari nazionali, la crisi ha messo in luce la debolezza di tale costruzione. Di fronte alla crisi di fiducia, i singoli Stati dell’unione si trovano privi degli strumenti di cui dispone uno Stato dotato della propria moneta e al tempo stesso di quelli di cui potrebbero disporre se fossero parte di una vera federazione. Se i capitali fuggono dal Regno Unito si determina un automatico deprezzamento della valuta che ristabilisce condizioni di competitività, e la possibilità teorica della banca centrale britannica di stampare moneta rappresenta una formidabile garanzia rispetto al rischio di rifinanziamento del debito pubblico. È per questo che il Regno Unito gode di condizioni di credito vicine a quelle tedesche pur avendo condizioni di finanza pubblica peggiori di quelle spagnole. Se una crisi colpisce la California, la presenza di un bilancio federale funge da ammortizzatore e la garanzia federale per le banche californiane frena la fuga di capitali dallo Stato. Gli Stati europei sono in una sorta di limbo, una situazione che può risolversi solo procedendo nell’integrazione oppure tornare bruscamente indietro (non solo rispetto alla moneta unica, ma a buona parte del processo di integrazione del dopoguerra). E se il ritorno alle monete nazionali ha dei costi che chi lo propone sottovaluta in modo drammatico, la prospettiva dell’integrazione incontra anch’essa enormi resistenze, soprattutto nei paesi del Nord Europa.

Vero è che un’unione fiscale e politica non è qualcosa che si può improvvisare nei tempi che sarebbero richiesti dalla soluzione della crisi. Ma nell’immediato basterebbe probabilmente qualcosa di molto più semplice: una chiara affermazione della volontà di far sopravvivere l’euro a qualunque costo, accompagnata da azioni conseguenti, irreversibili e decisive. Il dubbio degli investitori non riguarda più infatti tanto la tenuta delle finanze dei singoli Stati quanto la sopravvivenza dell’euro. Chi mette in salvo i propri capitali fuggendo dalle banche e dai titoli di Stato dei Paesi periferici sta assicurandosi rispetto alla possibilità che l’euro possa saltare. Che si ricorra agli eurobond o ad interventi della Bce è secondario rispetto alla necessità di dare un segnale adeguato.

Dire che tra i Paesi europei oggi manca la solidarietà è forse banale. Ma non si tratta di appellarsi a buoni sentimenti o altruismo. Allo scopo basterebbe la solidarietà che nasce dal riconoscimento dell’unione monetaria come contesto ricco certo di opportunità ma allo stesso tempo tale da esporre i singoli Paesi a rischi di fronte ai quali sono disarmati. Tutte le istituzioni di tipo mutualistico non sono in fondo che forme di socializzazione del rischio, che nascono dal riconoscimento del vantaggio che viene dal garantirsi assicurazione reciproca in modo solidale.

Dunque, alla signora Merkel e alla Germania dovremmo chiedere non tanto o non solo di mettere a disposizione la propria innegabile forza, quanto di ammettere, anche nei confronti dell’opinione pubblica tedesca, la propria non autosufficienza. Di riconoscere che c’è una debolezza europea che è anche debolezza tedesca, di renderla esplicita assumendosi parte del rischio comune. Ciò indebolirà la Germania? Probabilmente sì, ma in un certo senso è proprio qui il punto: finché non sarà chiaro che un ulteriore aggravarsi della crisi è un rischio enorme per tutti, Germania compresa, sarà razionale scommettere contro l’euro, e questo ci porterà sempre più vicini al punto di non ritorno.