Rispetto all’agenda Monti sono note le riserve espresse da sinistra sui temi del lavoro dell’equità e dei diritti. Non mancano tuttavia obiezioni di ben altro segno. È il caso dell’editoriale apparso ieri sul Corriere della sera a firma Alesina e Giavazzi. I due economisti lamentano un eccesso di timidezza di Monti sul fronte della riduzione della spesa pubblica e del ridimensionamento del ruolo dello Stato. La loro tesi è nota: la spesa pubblica non va razionalizzata, va ridotta in modo significativo. È la classica tesi dei conservatori americani, per cui la crisi europea sarebbe l’effetto di un sistema di welfare troppo generoso e la cura un abbandono del modello sociale europeo. Sfortunatamente Alesina e Giavazzi sviluppano la loro critica scegliendo gli esempi e gli argomenti sbagliati. Gli esempi sono quelli di sanità e università, gli argomenti quelli della sostenibilità e dell’equità.

Come è noto, nella quasi totalità dei Paesi sviluppati la sanità è finanziata prevalentemente con risorse pubbliche (imposte e contributi) e l’accesso è universale, cioè garantito a tutti i cittadini indipendentemente dalla capacità di pagare. La soluzione del finanziamento pubblico è ritenuta superiore in quanto consente un maggiore controllo della crescita della spesa e impedisce forme di segmentazione tipiche dei mercati assicurativi privati. I vantaggi del pubblico sono ovvi nel confronto con la principale eccezione a tale soluzione, cioè il sistema americano, che è di gran lunga il più costoso, il meno equo e il meno efficiente nella copertura dei rischi.

Alesina e Giavazzi non arrivano a suggerire l’adozione del sistema privatistico di tipo americano. Essi tuttavia propugnano l’introduzione di forme di selettività nell’accesso alle cure. Non è equo né ragionevole, essi argomentano, che ricchi e poveri abbiano accesso gratuito ai servizi. Non sarebbe preferibile abbassare le imposte e far pagare i ricchi per i servizi? Le poche risorse disponibili potrebbero essere concentrate per fornire servizi gratuiti ai non abbienti. Un argomento che non manca di attrattiva, ma che tuttavia non convince. Si potrebbe infatti semplicemente ribaltare l’argomento: quale è il vantaggio per un individuo con reddito medio-alto di pagare meno imposte se il maggiore reddito disponibile deve essere speso pagando le cure di tasca propria o sottoscrivendo una costosa polizza privata?

È inoltre difficile immaginare che, una volta spinto a pagarsi le cure di tasca propria, tale individuo sarà favorevole a finanziare ulteriormente il servizio pubblico di cui solo gli individui a reddito più basso traggono beneficio. È dunque probabile che nel tempo il risultato sarà una riduzione delle risorse destinate alla sanità pubblica, che diventerà sempre più la sanità «dei poveri», mentre i ricchi si rivolgeranno alla costosa ma qualitativamente migliore sanità privata. Gli studiosi parlano di «paradosso della redistribuzione»: concentrare le risorse in modo mirato sui meno abbienti, una strategia in apparenza ispirata a principi di equità, finisce sistematicamente per produrre esiti meno egualitari e meno redistributivi. È per questo che i sistemi di welfare dell’Europa continentale, a differenza di quelli anglo-sassoni, tengono duro sui principi di universalismo e utilizzano con grande cautela lo strumento della selettività.

Un discorso analogo vale per l’altro esempio citato da Alesina e Giavazzi, quello dell’università: siccome all’università pubblica vanno comunque i giovani delle famiglie a reddito medio-alto, il finanziamento a carico della collettività intera configura una sorta di redistribuzione al contrario. La soluzione? Il modello dell’università Bocconi, che potendo contare (oltre che sui trasferimenti pubblici) su rette elevate, fornisce agli studenti un servizio di qualità e figura molto bene nelle classifiche internazionali. L’esempio scelto è ancora una volta infelice e ha il sapore della beffa, visto che i tagli all’università pubblica degli ultimi anni hanno già fatto molto per favorire il processo di cui dicevamo a proposito della sanità: chi se lo può permettere manda i figli all’università privata (o all’estero); gli altri si arrangiano con quello che passa il magro bilancio pubblico.

Non sappiamo se e quanto il presidente Monti si mostrerà sensibile ai suggerimenti dei due economisti. Quell’impostazione non gli deve essere del tutto estranea, vista che non è molto diversa da quella dell’editoriale dell’Economist da lui citato nella conferenza stampa di domenica. Ma l’agenda Monti non è l’agenda Alesina-Giavazzi, e questo, nella prospettiva di una collaborazione con il centrosinistra, è già un buon punto di partenza.