In una campagna elettorale nella quale il tema divisivo dell’immigrazione ha un posto preminente, non poteva mancare un richiamo all’Islam e ai rischi di una sua diffusione nel nostro Paese. Se da un lato è ovvio che l’integrazione di persone di culture diverse non sia mai una cosa facile, possiamo accettare sentenze perentorie come quella per la quale non sarebbe possibile per un musulmano accettare i valori della nostra Costituzione? Io credo di no. Ritengo che l’errore di questo giudizio, che non è prerogativa della sola destra xenofoba, sia quello di disconoscere la multiformità dell’Islam, indentificando la religione con una sua manifestazione storicamente e politicamente determinata, e negando alla radice qualsiasi possibilità di adattamento di una religione al contesto culturale e sociale (il termine corretto è “inculturazione”).

A riprova della tesi dell’incompatibilità viene quasi sempre richiamata la shar’ia, la legge islamica, che conterrebbe precetti obblighi e divieti incompatibili con i valori di una società Occidentale. Il richiamo è spesso accompagnato all’invito a leggere direttamente il Corano per rendersi conto di persona della barbarie o arretratezza delle norme ivi contenute, che sono legge nei paesi islamici e che per il musulmano sono indiscutibili. Faccio solo notare a questo riguardo la circolarità logica implicita nell’accusare di fondamentalismo una religione proponendo di leggerne il testo fondamentale, o citandone brani e sure, in modo del tutto decontestualizzato ed esterno ad una tradizione millenaria di interpretazioni ed elaborazioni; cioè proponendone una lettura in tutto e per tutto fondamentalista.

Su cosa sia la shar’ia e quanto essa sia legge immutabile o storicamente determinata, propongo invece una breve ma efficace spiegazione tratta da un articolo di Lena Salaymeh, giurista palestinese che insegna legge e religione all’Università di Tel-Aviv (mia traduzione):

Diversamente dalla sua rappresentazione come spauracchio mediatico, la legge islamica è il prodotto delle molte voci dei giuristi islamici che studiano e interpretano le fonti scritte nel tentativo di comprendere il concetto astratto di legge divina (sharīʿah). I musulmani riconoscono che la legge divina giudaica (al-sharīʿah al-yahūdīyah) e quella cristiana (al-sharīʿah al-masīḥīyah) precedono la legge divina islamica, e riconoscono che la legge divina è interpretata in modo diverso da persone diverse. La tradizione giuridica islamica è viva da oltre 1400 anni e ad essa fanno ricorso in modi diversi (o non vi fanno ricorso affatto) circa 1,6 miliardi di persone. Per questa ragione, la tradizione giuridica islamica è pluralistica, e su ogni questione vi è una molteplicità di opinioni e poche posizioni universalmente condivise. Gli orientamenti giuridici islamici riflettono i tempi e i luoghi nei quali sono stati formulati, e cambiano al mutare delle norme sociali. Per metterla in modo semplice: la legge islamica è ciò che i musulmani (e in particolare i giuristi musulmani) ritengono che essa sia. Non esiste un codice islamico unificato; non c’è un’organizzazione gerarchica che abbia in modo definitivo l’autorità di stabilire quale sia il contenuto della legge islamica. La legge islamica non può essere ridotta ad un singolo orientamento – pacifico o violento, democratico o non democratico, progressista o conservatore. In breve, la legge islamica, basata sul tentativo di attuare la legge divina (sharīʿah), non corrisponde alla rappresentazione, fantasiosa e priva di senso, che se ne dà nel dibattito.

Quando si parla di “shar’ia” spesso lo si fa quindi per finalità politiche. Credere ad una tradizione legale, o comunque sostenerla, è una questione di identità; quindi, denunciare una tradizione legale è equivalente a denunciare coloro che la seguono. Questo tipo di pregiudizio religioso è una strategia consumata degli intolleranti. La propaganda nazista accusava gli ebrei di aderire a “problematiche” norme giudaiche (invece che alla legge tedesca), con il rischio di creare uno Stato nello Stato. Così come gli antisemiti attribuivano all’osservanza delle norme giudaiche l’impossibilità degli ebrei di diventare pienamente cittadini, gli estremisti antimusulmani sostengono che l’adesione alla “shar’ia” sia una minaccia per la legge dello Stato e un sostegno al terrorismo. Il confronto dell’attuale denigrazione della “shar’ia” con quella che si è avuta in passato contro la legge giudaica evidenzia la pericolosità di tale pregiudizio.

Gli estremisti islamici usano essi stessi il termine “shar’ia” precisamente per alimentare le paure (infondate) dell’Occidente. È intenzionale l’insistenza dei gruppi estremisti sul fatto che la loro attività sia ispirata alla “shar’ia”, benché ci sia ampia dimostrazione del contrario. Per esempio, la legge islamica ortodossa vieta esplicitamente e senza ambiguità di colpire i civili durante una guerra, ma i gruppi estremisti ignorano questa norma. L’idea che i gruppi estremisti islamici attuino la legge islamica è irragionevole, come lo è quella che gli estremisti cristiani attuino il messaggio evangelico. Gli estremisti di ogni affiliazione usano ogni strumento a loro disposizione per giustificare la propria violenza. L’adesione alla legge islamica non causa né promuove la violenza. Una corretta comprensione di cosa sia la legge islamica contribuirebbe a togliere ai gruppi estremisti, islamici o no, la possibilità di usare la “shar’ia” come strumento politico.