Perché è giusto opporsi a Putin? È un dittatore, un criminale e molto altro, ma il motivo non è questo. Non muoviamo né sosteniamo guerre a tutti i dittatori criminali, anzi molti li accettiamo addirittura come nostri alleati. Allora perché?

La risposta è più semplice, ma proprio per questo anche meno opinabile: invadendo un altro stato sovrano, la Russia ha violato una regola cardine della convivenza tra gli stati, ha superato una linea rossa che non può non determinare reazioni, pena il rischio di mettere in discussione l’intero sistema di rapporti internazionali.

Quando dico che il motivo non è il fatto che Putin sia un dittatore e criminale, intendo che la stessa violazione sarebbe ugualmente inaccettabile se la Russia fosse un paese più democratico di quello che è. Simmetricamente, la difesa delle ragioni dell’aggredito/Ucraina è del tutto indipendente dal fatto che Zelensky abbia doti di grande statista o sia inadeguato al ruolo, che l’Ucraina sia una vera democrazia o un’oligarchia corrotta. La difendiamo perché sul piano del diritto internazionale è il paese aggredito.

Il fatto che la guerra rappresenti un’aggressione è dunque il dato di fondo, da non dimenticare. L’analisi delle cause che hanno portato a tale aggressione non modifica questo dato. Comprendere in che misura la NATO possa aver alimentato le paure russe o Putin abbia potuto ritenere «inevitabile» un intervento è indispensabile per capire la logica che ha ispirato l’azione del governo russo e per individuare una risposta efficace, ma non può rappresentare una giustificazione di quell’azione sul piano della legalità e legittimità.

Anche l’esistenza di una situazione di guerra interna tra forze ucraine e milizie separatiste, per quanto segnata da episodi di repressione a loro volta criminali, si pone su un piano diverso: quando il conflitto coinvolge due stati sovrani c’è un salto di qualità; inoltre, quanto meno in termini di dimensione delle forze coinvolte, la violenza dal conflitto scatenato il 24 febbraio è di un ordine di grandezza diverso dalla violenza, pur drammatica, cui si è assistito in anni recenti nel Donbass. Le azioni passate del governo ucraino, l’aver alimentato il nazionalismo anti-russo, la mancata applicazione degli accordi di Minsk, sono motivo di biasimo, consiglierebbero meno afflato celebrativo e più prudenza nel rilanciare acriticamente tutto quanto arriva da Kiev, ma non modificano lo status di paese aggredito dell’Ucraina.

Se la distinzione di fondo aggredito/aggressore va sempre tenuta presente, essa non dovrebbe essere però indebitamente sovraccaricata. La mobilitazione mediatica, prima con l’improprio accostamento ai precedenti dell’aggressione nazista del 1939, poi con un’enfasi sulle crudeltà commesse dai soldati invasori, enfasi che a mia memoria non ha eguali nel racconto di altre pur efferate guerre (alcune ancora in corso), ha favorito una rappresentazione in termini di conflitto tra bene e male.

Una cosa è riconoscere l’esistenza di un torto e una ragione sul piano del diritto internazionale, un’altra è, per noi che abbiamo il privilegio di non essere direttamente coinvolti, perdere la necessaria lucidità e lasciarci andare a espressioni altisonanti come «attacco all’Occidente», «sfida alla democrazia», trasformando quella guerra in qualcos’altro, una sorta di crociata, di guerra santa.

Non è difficile capire a quale obiettivo molto più concreto possa essere funzionale tale approccio: fare finalmente i conti con la potenza ridotta ma non azzerata della Russia, approfittare del passo falso di Putin per modificare l’equilibrio internazionale, anche in vista di un confronto con la Cina. Ci ripeteremo allora che quello cui puntiamo è esportare finalmente anche in Russia la democrazia. Se i precedenti di questo obiettivo (Libia, Siria, Iraq, Afghanistan) non fossero così tragicamente fallimentari e se Putin stesso non fosse il risultato di quel che abbiamo contribuito a fare della Russia negli anni Novanta, ci si potrebbe anche credere.

La guerra come crociata ha una soluzione semplice da immaginare: se dall’altra parte hai il male la sua sconfitta senza condizioni, il suo annientamento, è l’unico esito possibile, nonché l’unico moralmente possibile, rispetto al quale qualsiasi compromesso sarà un cedimento inaccettabile. L’esempio del nazismo e della Seconda guerra mondiale è sempre un facile richiamo, dimenticando che il prezzo sono stati cinquanta milioni di morti e che la Germania hitleriana non aveva l’atomica. Non credo che si intenda arrivare a questo, ma si parla di «vittoria sul campo», di una guerra lunga, si richiama il caso dell’Afghanistan. Nel frattempo le sanzioni, che in una prospettiva del genere sono destinate a durare, avranno un impatto molto rilevante anche sulle nostre vita. Per questo serve una mobilitazione emotiva che non ammette troppi distinguo.

La ragione per rifiutare questa rappresentazione non è solo un problema di fedeltà alla realtà dei fatti, è anche che essa predetermina uno stato di conflitto permanente quale unico esito. Altre soluzioni, che cerchino di trovare un equilibrio tra riaffermazione del diritto e minimizzazione del danno in termini di perdite umane, distruzione e sofferenza, hanno il difetto di essere enormemente più complicate, perché non possono limitarsi a indicare il torto e la ragione. Richiedono l’accettazione del fatto che l’aggressione dell’Ucraina potrà risolversi in un’insuccesso per Putin (lo speriamo tutti), ma non in un’umiliazione così pesante da sollecitare una sua reazione estrema. Richiedono infine, specialmente per noi europei, la capacità di pensare a un dopo nel quale dovremo comunque riallacciare dei rapporti di convivenza con il nemico di oggi.

Infine, ricondurre la legittimità del nostro sostegno all’Ucraina al tema del diritto internazionale rappresenta anche un richiamo alla coerenza, perché in quest’ottica la condanna di violazioni di sovranità e aggressioni dovrà aver luogo in ogni altro contesto, indipendentemente da considerazioni di vicinanza dal punto di vista geopolitico. Su questo finora l’Occidente non ha brillato ed è anche questa la ragione per cui molti paesi terzi non si sono accodati alle nostre sanzioni e condanne.

Negli ultimi tempi nel dibattito italiano c’è stato uno scambio di accuse a proposito dell’asserita semplicità o complessità della situazione in corso. Credo di aver chiarito come la penso: il fatto che la premessa sia estremamente semplice (aggredito e aggressore) non significa né che sia semplice la sua soluzione, né che sia utile banalizzare ogni aspetto di questa maledetta guerra riconducendolo a uno schema binario (vero/falso, bene/male, umano/inumano, informazione/propaganda, e via andando).